di Stefano Giacalone
Può sembrare banale, ma l'argomento della solitudine è stato trattato diverse volte da alcuni di Voi. Mi permetto soltanto di raccontarvi qualche mia riflessione.
La settimana scorsa mi ha telefonato un amico, il quale mi pregava di andare a trovarlo in ospedale perché, essendo scivolato in casa, si era rotto una gamba. Purtroppo lui vive da solo. Due anni fa aveva divorziato dalla moglie e l’unica figlia, ormai sposata, vive e lavora a Genova.
I suoi genitori e fratelli sono ormai tutti morti. In sostanza è rimasto solo! Solo il portinaio del condominio, che lo conosce da vecchia data, lo aiuta spesso. Corro subito in Ospedale a Milano.
Durante il tragitto autostradale, essendoci molto traffico, ho fatto alcune personali riflessioni.
La vera malattia di questo secolo non è il cancro o l’AIDS, è la solitudine, dovuta alla sensazione di essere abbandonato a te stesso e di non valere più, di non essere all’interno degli ‘enturage’, lontano da tutti. Solitudine degli uomini, solitudine profonda, quella che dà angoscia, che ti fa dormire con un occhio aperto la notte perché senti che sei stato abbandonato, dimenticato, relegato!
C’è una parola che rappresenta il sentimento di dolorosa partecipazione all’infelicità altrui e, questa parola è pietà, condivisione, compartecipazione. Ho notato che la parola pietà è bandita dai blog, dai siti web, dai forum e perfino dalla TV.
Secondo me la condivisione crea paura, perché costringe l’uomo a guardare la sofferenza negli occhi dei suoi simili e farsene carico, senza curarsi di niente e di nessuno, e badare solo a se stesso.
Sono sempre convinto che la tecnologia (Internet, Blog e Social Network) è una buona ‘antisolitudine’ ed aiuta ad avvicinare le persone e a comunicare fra loro, sempre più velocemente.
Ma dobbiamo imparare a comunicare con il cuore, con la voglia di partecipare davvero alla solitudine di altre persone. La tecnologia ci aiuta (e non è poco), ma sarà per sempre il cuore, finchè l’uomo vivrà, ad essere l’unica linea di congiunzione che regala alle nostre solitudini l’attenzione degli altri.
Intanto sono arrivato in ospedale e di corsa chiedo dove si trova il reparto di ortopedia.Entrando nella stanza, dove è ricoverato il mio amico (con altre due persone), mi ha colpito, oltre all’evidente contentezza per essere andato a trovarlo, un’infinita solitudine ed una grande tristezza generale. In quel momento sono stato assalito da un desiderio di aiutarlo e di regalargli un parte del mio tempo!
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